Cenni al metodo Neo Deterministico per la valutazione della Pericolosità Sismica
Non è ovviamente questa la sede per fornire informazioni di dettaglio in merito al metodo neodeterministico. A questo fine, la EPC ha pubblicato nel 2016 il testo Difendersi dal Terremoto Si Può, di Giuliano Panza ed Antonella Peresan. A questo importante testo divulgativo, scritto da due degli studiosi che hanno messo a punto il metodo neodeterministico, ed in particolare dal suo primo ideatore prof. Panza, il lettore è rimandato per i necessari approfondimenti. Nel seguito sarà data una informazione molto sintetica e necessariamente schematica, scritta da un non specialista della materia. I lettori interessati ad approfondire dovrebbero farlo consultando il testo citato. Il metodo neodeterministico per la valutazione della pericolosità sismica (NDSHA Neo Deterministic Seismic Hazard Assessment) si basa sulla simulazione, ovvero sulla modellazione fisica, di un certo numero di scenari sismici. Il punto di partenza è dunque l’esame della zona di interesse per trovare le zone sismogenetiche prossime ad essa e tali da generare, potenzialmente, terremoti di magnitudo maggiore di 5. Una sorgente sismica è […] un oggetto di dimensioni finite, rappresentabile come una porzione di faglia immersa nella litosfera, ove il fronte della frattura si propaga lungo il piano di faglia con una serie di dislocazioni che hanno origine nell’ipocentro. Le modalità di propagazione della frattura dipendono dalla geometria e dalla reologia (cioè dalle caratteristiche di deformazione sotto l’azione delle forze tettoniche) della porzione di litosfera ove ha luogo l’evento sismico, perché il fronte della dislocazione cambia velocità quando incontra barriere od asperità presenti sulla faglia stessa (Panza e Peresan, 2016). La ricerca delle zone sismogentiche si avvale, oltre che delle informazioni geologiche e geodinamiche disponibili, di due strumenti fondamentali. Il primo è l’impiego dei cataloghi dei terremoti storici. L’Italia dispone probabilmente del catalogo storico più vasto di ogni altra Nazione, dato che esistono documenti scritti da circa 25 secoli. Le informazioni nei cataloghi sono preziose, ma necessariamente incerte ed imprecise. Il secondo è la zonazione morfostrutturale, vale a dire l'analisi della morfologia e della struttura superficiale della crosta terrestre e la ricerca dei "nodi morfostrutturali", cioè di intersezioni tra linee che separano aree con caratteristiche morfologiche diverse (ad esempio, le aree pianeggianti e quelle montuose, oppure aree con diversa orientazione dei corsi d'acqua). Benché non sempre (ma spesso) esistano evidenze storiche di una attività sismica pregressa nei nodi identificati come sismogenetici, qui si ipotizza che in futuro possano manifestarsi slittamenti di faglia. Nella zonazione morfostrutturale, il territorio è suddiviso in un sistema di blocchi di vario rango, separati da lineamenti, generalmente, ma non necessariamente, costituiti da zone (fasci) di faglie, il cui ordine gerarchico dipende dal rango del blocco da essi delimitato. Questa operazione utilizza le informazioni di tipo tettonico e geologico, con particolare attenzione alla geomorfologia, ovvero il rilievo topografico attuale. I lineamenti possono essere longitudinali o trasversali a seconda dell’andamento della struttura tettonica e topografica; generalmente i lineamenti longitudinali comprendono le faglie principali (Panza e Peresan 2016). “Il riconoscimento dei nodi sismogenetici (zone soggette a terremoti superiori ad una certa magnitudo) si basa sull’ipotesi che i nodi all’interno dei quali si è già verificato un forte terremoto abbiano caratteristiche morfostrutturali simili a quelle dei nodi all’interno dei quali non si ha ancora notizia di eventi storici e strumentali ma che si ritiene abbiano la potenzialità di generare un forte evento” (Panza e Peresan, 2016). L’analisi geologica e geofisica dà modo di stimare (non di valutare con precisione) la magnitudo attesa per il generico nodo sismogenetico di interesse. Ciò è fatto comparando le informazioni dei cataloghi storici e le informazioni desumibili a livello geofisico (la dimensione di una faglia è in relazione con la magnitudo dei terremoti che essa può generare) e prendendo il valore massimo. Una volta individuato un nodo sismogenetico (attorno ad ogni sito di interesse ve ne possono essere svariati) ed un meccanismo di faglia significativo, si simula lo scorrimento di faglia con un modello meccanico, applicando due coppie di forze eguali e contrarie sui due fronti della faglia, ed agenti su due piani tra loro ortogonali (piano di faglia e piano ausiliario), forze la cui intensità è legata alla magnitudo stessa. La magnitudo di riferimento Mmax, la massima tra quelle desumibili dai dati oggettivi, può essere ulteriormente incrementata considerando un opportuno ΔM. Tale ΔM può essere preso eguale alla deviazione standard globale delle magnitudo di tutti i sismi registrati σM, che è una misura della incertezza sulla stima della magnitudo, moltiplicata per un opportuno fattore di sicurezza γME. Il valore normalmente assunto per σM è σM ≈0.2. In pratica Mprogetto=Mmax + γMEσM Il fattore di sicurezza γME deve essere deciso sulla base delle osservazioni, in modo tale che non avvenga mai, in un dato nodo sismogenetico, che la magnitudo registrata Mr sia maggiore di quella di progetto Mprogetto associata al nodo. Diversi valori di γME portano a diversi valori di scuotimento, ma la funzione di γME è meramente quella di garantire un inviluppo. La mappe fornite qui di seguito sono state ottenute assumendo Mprogetto=Mmax ovvero γME =0. Altre mappe sono state messe a punto con un valore γME =2. Una volta determinata la magnitudo di riferimento,questa determina il valore delle azioni da applicare al modello meccanico della sorgente. Questo modello meccanico, a differenza di quanto avviene nei modelli deterministici o in quelli probabilistici, non fa uso di relazioni di attenuazione, ma utilizza le leggi della meccanica dei solidi al fine di calcolare come le onde sismiche si propagano dalla sorgente al substrato roccioso in corrispondenza al sito di interesse. La modellazione degli strati profondi tra sorgente e substrato roccioso del sito è uno degli aspetti unici e di assoluta rilevanza del metodo neodeterministico. Tale modellazione è tarata sia in base alla sismicità di fondo (microsismi) ovvero il rumore sismico ambientale, sia in base a terremoti di entità intermedia. Si tratta quindi dell’analisi ed elaborazione di numerosi veri segnali, che hanno veramente attraversato la zona in esame, fornendone indirettamente una specie di “calco” strutturale. Si usa un modello meccanico stratificato degli strati profondi tarato in modo che le simulazioni numeriche sposino correttamente la variazione dei segnali nel viaggio dalla sorgente al sito. Il modello è messo a punto esaminando un gran numero di segnali della sismicità di fondo e non fa quindi uso di relazioni di attenuazione che non considerano se non in modo grossolanamente approssimato le caratteristiche meccaniche degli strati profondi. La modellazione della propagazione delle onde sismiche sta alla base delle metodologie NDSHA per la stima della pericolosità sismica e richiede la preventiva caratterizzazione delle proprietà meccaniche del mezzo attraversato dalle onde stesse. La novità (da cui la N nell’acronimo) principale di NDSHA rispetto a DSHA consiste proprio nell’uso della modellazione realistica della propagazione delle onde sismiche. Tale modellazione è eseguita seguendo le leggi fondamentali della fisica e non ricorrendo a relazioni empiriche molto popolari, ma che violano le leggi della meccanica del continuo che stanno alla base della teoria dell’elasticità, note come relazioni di attenuazione (Panza e Peresan, 2016). In pratica, da come il treno d’onde del modo fondamentale delle onde di superficie viene disperso, non dissipato, si deducono le caratteristiche meccaniche degli strati attraversati dal treno stesso. Sono poi state sviluppate ed applicate tecniche di ottimizzazione volte all’individuazione del modello strutturale (proprietà meccaniche) rappresentativo della zona di studio. I dati così ottenuti forniscono non solo informazione essenziale per la modellazione della propagazione delle onde sismiche, che sta alla base delle metodologie NDSHA, ma anche un punto di riferimento fondamentale per la comprensione della geodinamica dell’area in esame (Panza e Peresan, 2016). Si ottengono in questo modo delle “mappe” tridimensionali semplificate ma coerenti con i dati sperimentali, nelle quali ad ogni area di 1°x1° sono associati degli strati supposti orizzontali, di diverso spessore, caratterizzati da diverse densità e proprietà meccaniche, e ciò sino a una profondità di 300 km. Tali “gessetti” costituiscono la base per le simulazioni successive. Il fatto che “gessetti” diversi ed anche contigui abbiano delle stratigrafie diverse fa sì che su grandi dimensioni si possano simulare le proprietà meccaniche della crosta, un po’ come con tanti pixel su uno schermo si possono simulare immagini complesse o come con tanti elementi finiti a deformazione costante (Constant Strain Triangle, CST) si può simulare un gradiente di sforzo (Panza e Peresan 2016). Quindi una volta identificato un modello meccanico adeguato, cioè in grado di riprodurre soddisfacentemente come un segnale sismico venga trasmesso dalla sorgente al sito per terremoti di bassa intensità, questo modello viene applicato al segnale sismico generato dalla sorgente modellata. In questo modo si calcola, per mezzo di analisi modali, il segnale sismico al substrato roccioso in corrispondenza al sito di interesse. Le incertezze relative allo specifico meccanismo di sorgente attivato (una faglia non è un punto, ed il susseguirsi delle rotture lungo di essa non è determinabile in modo deterministico), vengono trattate generando una ampia messe di casi, nei quali tutti i parametri in gioco vengono variati all’interno di ampi intervalli. L’insieme di tutte queste realizzazioni (essendo ogni realizzazione legata ad una specifica scelta dei parametri, a parità di magnitudo) è poi utilizzata per generare degli inviluppi, che sono considerati uno dei risultati fondamentali del metodo. L’ulteriore passaggio dal substrato roccioso alla superficie, è compiuto mediante la aggiunta esplicita degli strati superficiali nel modello meccanico, così da trasferire il segnale dal substrato roccioso alla superficie. Tale passaggio, che dipende dalle caratteristiche degli strati superficiali e dalle relative indagini geognostiche, è assolutamente fondamentale per poter effettuare simulazioni in grado di inviluppare gli scuotimenti attesi in un dato sito. Generati i segnali in superficie, due sono i possibili modi di utilizzare questi dati. Un primo modo, che sempre più sarà usato in futuro, consiste nell’utilizzare un ampio insieme di accelerogrammi, al fine di eseguire analisi di time history. Fronti aperti di ricerca sono la selezione di un sottoinsieme degli accelerogrammi generati che sia significativo per la specifica struttura in esame, e la velocizzazione delle analisi di time history al fine si sottoporre la specifica struttura, nello specifico sito, alla più ampia possibile messe di segnali. Un secondo modo, denominato MCSI (Maximum Credible Seismic Input, Fasan et al. 2015, 2016 e 2017) consiste nel mettere a punto uno spettro di risposta di inviluppo, con tutte le realizzazioni disponibili, per lo specifico sito in esame. La disponibilità di uno spettro di inviluppo consente in sostanza di sostituire agli spettri convenzionali descritti dalla normativa (ed affetti dal grave problema della determinazione probabilistica della accelerazione di ancoraggio), spettri che sono l’inviluppo finale degli spettri di segnali che individualmente hanno un ben preciso senso fisico, dato che sono relativi a ben precisi meccanismi di sorgente ed ai ben precisi strati profondi esistenti tra la sorgente presa in esame, ed il sito. E’ utile osservare che la forma di questi spettri di inviluppo è in genere molto diversa dalla forma degli spettri di normativa, ovvero non ha quel tipo di andamento (si veda ad esempio il caso di Norcia in Fasan et al. 2016). Quindi, per esempio, può capitare che nell’intervallo dei periodi di interesse per la struttura in esame (per esempio 0.8-1.0 sec), le ordinate dello spettro MCSI siano molto più alte di quelle dello spettro di normativa, che invece decresce con regolarità prestabilita al crescere dei periodi propri. Nella figura seguente si vede la mappa ottenuta dal gruppo degli studiosi triestini e relativa al così detto Model 2 con γME =0.
Nella mappa viene data la DGA, Design Ground Acceleration, al substrato roccioso, considerando intervalli piuttosto ampi del parametro rappresentato (fra un intervallo ed il successivo c'è un raddoppio dei valori). Non viene dato un valore preciso di DGA per svariate ragioni: 1.Perché la gran parte dei dati disponibili sui terremoti storici è affetta da incertezze che crescono in progressione geometrica. I dati disponibili dai cataloghi storici, infatti, sono dati di intensità macrosismica (Scala Mercalli Cancani Sieberg I=I-XII). Questa scala presenta un fattore moltiplicativo 2 ad ogni incremento, come gli intervalli qui presentati, che sono in unità g: a.0.01-0.02 b.0.02-0.04 c.0.04-0.08 d.0.08-0.15 e.0.15-0.30 f.0.30-0.60 Inoltre, va tenuto presente che, come spiegato nel testo citato, anche le valutazioni di magnitudo fatte per mezzo di strumenti sono affette da errori nell’ordine di 0.2-0.3, e pertanto spingere la precisione della DGA oltre una certa soglia non ha senso. Va osservato che l’errore tipico con cui è possibile determinare M è pari a circa ±0,3, quindi due eventi sono realmente distinguibili sulla scala di magnitudo solo se le loro magnitudo differiscono per una quantità maggiore. L’errore sulle magnitudo è regolarmente ma colpevolmente taciuto e, di regola, è dato solo il valor medio; pertanto si è diffuso l’erroneo concetto che due terremoti, ad esempio con M=5,0 e M=5,3, hanno entità diversa, quando invece, a causa degli inevitabili errori di misura, sono indistinguibili nella scala delle magnitudo (Panza e Peresan 2016). 2.Perché mancando le informazioni dettagliate sugli strati superficiali, da determinarsi con specifiche indagini di microzonazione e geognostiche, non è possibile fornire il valore di accelerazione in superficie. I dati qui forniti non possono essere direttamente usati per la progettazione, perché mancano le fondamentali informazioni e le corrispondenti variazioni legate allo specifico sito della costruzione. Essi possono tuttavia fornire un’indicazione utile a grande scala. In particolare, se la PGA al substrato roccioso in un dato sito (suolo A), determinata mediante i metodi probabilistici delle NTC 2018 per il progetto di una costruzione, o per il suo consolidamento, è inferiore al valore minimo dell’intervallo valutato con sistemi neodeterministici (e con γME =0), è ragionevole che il progettista valuti se non sia il caso di integrare con valutazioni neodeterministiche i dati probabilistici di norma. Nel caso in cui la PGA di norma sia ricompresa nell’intervallo neodeterministico, a seconda della collocazione del valore della norma rispetto al limite superiore ed inferiore delle DGA, e della sua sensibilità al problema, il progettista valuterà come procedere. Nei casi, rari ma presenti, in cui la PGA di norma sia superiore al massimo previsto dall’intervallo di DGA, tenendo presente che la norma obbliga a non avere uno scarto superiore al 20%, si è di fatto obbligati e tenere la PGA probabilistica. Dati più precisi richiedono specifiche elaborazioni numeriche. Come segnalato anche nel software NTCSISMA, il gruppo di studiosi della Università di Trieste ha messo a disposizione delle Amministrazioni Pubbliche e dei Privati un sito, www.xeris.it, dove è possibile richiedere sia spettri MCSI che accelerogrammi relativi a ben specifici siti.
(1)Ciò da un lato spiega il frequente balletto di cifre a proposito della magnitudo dei sismi, dall’altro rende chiaramente fuori scala certe valutazioni numeriche che impiegano tre o quattro cifre, specialmente viste nella conversione tra intensità macrosismica I e magnitudo M, o nella stima della magnitudo M di sismi storici, anche nello stesso sito della INGV. Una differenza di magnitudo pari a 0.2 corrisponde a un fattore di variazione di energia liberata pari a circa 2.
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